Sesso e potere logorano chi ce li ha

Nella penombra di un ufficio a Washington D.C. il vecchio Hoover detta le sue memorie a uno stagista: le lotte contro gli anarchici  e i gangster, il rapimento del figlio di Lindbergh, la conversione filmica e propagandistica di James Cagney da icona criminale a G-Man di ferro, la rivoluzione metodica all’interno dell’FBI e i rapporti confidenziali con  i presidenti succedutisi nel corso del suo mandato. Ligio al dovere in pubblico quanto fragile nel privato: l’attaccamento morboso alla madre, la fiducia riposta nei confronti della sua segretaria e la tormentata relazione col suo braccio destro Clyde Tolson. Tutti lo temono, molti lo odiano e criticano per i suoi modi spicci e autoritari. Tanti  i segreti che ha celato all’interno della Casa Bianca, sempre che ne sia rimasta traccia. Ancora una volta il regista dagli occhi di ghiaccio ci regala uno dei suoi imperdibili classici, cercando di fare luce su una delle pagine più scomode della storia americana. Di Caprio si conferma uno dei migliori attori della sua generazione: anche sotto il pesante trucco di Sian Grigg che lo invecchia e appesantisce lascia trasparire la complessa personalità del direttore di ferro attraverso sguardi luccicanti e smorfie di dolore. A supporto Naomi Watts (la segretaria), Judi Dench (la madre) e Armie Hammer (il braccio destro e compagno di vita).

Voto: 4/5

J. Edgar (USA 2011)

Regia e musiche: Clint Eastwood
Sceneggiatura: Dustin Lance Black
Fotografia: Tom Stern
Durata: 137 minuti
Cast: Leonardo Di Caprio (J. Edgar Hoover), Naomi Watts (Helen Gandy), Armie Hammer (Clyde Tolson), Judi Dench (Anna Marie Hoover), Josh Lucas (Charles Lindbergh), Jeffrey Donovan (Robert Kennedy)

Dietro la maschera di affermato businessman Brandon cela la sua distruttiva dipendenza dal sesso: amplessi fugaci, chat erotiche, onanismo a intervalli regolari e saltuarie esperienze estreme. Nulla possono l’ospitalità concessa alla sorella, cantante di night club in cerca di affetto e comprensione, così come il tentativo di instaurare un rapporto che vada al di là della copula con una collega d’ufficio. La discesa agli inferi  è ormai spianata e risalirla non sarà facile, se non impossibile. L’opera seconda di Steve McQueen è un pugno allo stomaco e al ventre dello spettatore (specie quello italiano, imbarazzato di fronte alle nudità esposte sul grande schermo lasciandosi scappare un risolino alla vista del membro ciondolante del protagonista) che turba l’animo e inquieta la vista: a parlare non sono solo gli sguardi ma i corpi, accomunati dal martirio fisico (Brandon e sua sorella Sissy) e dalla lussuria accennata (le clienti del bar, la ragazza della metropolitana), destinati a subire una rabbia che trova il suo unico sfogo nell’umiliazione carnale. L’intensa tragicità di Michael Fassbender, in precedenza calatosi nei panni cronenberghiani di Gustav Jung, non può che portare a una solidale commiserazione nei confronti del protagonista, incapace di sfuggire alla propria condizione di Sisifo metropolitano. Due sequenze degne di menzione: Sissy che canta con voce spezzata “New York New York” nell’oscurità di un ristorante di lusso e la gang bang di ispirazione pasoliniana.

Voto: 3/5

Shame (Gran Bretagna/USA 2011)
Regia: Steve McQueen
Sceneggiatura: Steve McQueen, Abi Morgan
Fotografia: Sean Bobbitt
Musiche: Harry Escott
Durata: 101 minuti
Cast: Michael Fassbender (Brandon Sullivan), Carey Mulligan (Sissy Sullivan), Alex Manette (Steven), Nicole Beharie (Marianne), Lucy Walters (la ragazza della metropolitana)



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